Il PD, essendosi formato dalla fusione di Margherita e DS, è un partito con due anime: quella di sinistra, ora minoritaria, e quella di maggioranza che è di centro, ma orientata a destra.
Il cosiddetto principio della democrazia interna vorrebbe che, fatto un congresso ed eletta una segreteria, la minoranza accettasse senza fare storie tutte le decisioni della maggioranza. Questo potrebbe funzionare se la maggioranza tenesse nel debito conto le aspettative della minoranza e sviluppasse un programma politico non opposto a quelle idee.
Con Renzi, che crede di poter fare tutto di testa sua per il solo fatto di essere sostenuto dalla maggioranza del partito (che ha saputo molto abilmente imbrigliare col ricatto dei “premi” politici), la politica del PD e del Governo ha tenuto conto delle aspettative degli alleati alfaniani (NCD) e di altri fuoriusciti da Forza Italia (Verdiniani), grazie ai quali poteva governare, ignorando quelle della minoranza di sinistra, che ad ogni protesta veniva tacciata di tradimento.
Quindi, la minoranza del PD, per innalzare il valore delle proprie proposte politiche, non ha altra via che quella di uscire dal PD e formare un partito di sinistra, allo scopo di trattare successivamente con il PD un eventuale programma di Governo comune: in questo caso il PD, per governare, dovrebbe rispettare alcuni fondamentali orientamenti politici di sinistra.
Renzi, che si crede un grande stratega politico, non ha capito neanche questo, perciò potrà aggiungere ai suoi fallimenti anche la spaccatura del suo partito.
Quello che meraviglia di più è che ci siano ancora nel PD sostenitori della guida politica di Renzi, rivelatasi di fatto fallimentare al 90%.